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I colori del letargo

Siamo tutti convinti che la stagione autunnale, quella cioè che noi associamo ai colori sgargianti e alla caduta delle foglie, inizi con lo scadere dell’Equinozio d’Autunno (21-22 Settembre); ma la dura verità è che l’autunno, nel regno vegetale, inizia ben prima.

Camminando tra i boschi in estate inoltrata, già si può notare qualcosa di diverso. Il verde brillante che colora le chiome tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate ha lasciato il posto ad un verde sbiadito, tendente al giallo pallido. Come per noi, si ha l’impressione che gli alberi si abbandonino alla stanchezza di una stagione intensa, per cui ora è necessaria una pausa.

Anche le piante vanno in letargo

Sappiamo tutti che gli animali vanno in letargo, ma forse non sappiamo che anche le piante lo fanno. Un orso bruno nella stagione estiva e fino all’inizio dell’autunno ha una vita molto indaffarata, deve accumulare uno strato di lardo a sufficienza per attingervi durante il lungo inverno. Gli alberi non si rimpinzano di bacche e salmoni, ma mettono in atto la medesima strategia: fanno il pieno di sole, necessario per produrre zuccheri e altre sostanze di riserva da immagazzinare nella loro “pelle”.

A differenza dell’orso bruno un albero non può ingrassare, quindi dove mette il “grasso” che accumula? Anche in questo caso la pianta mette in atto un meccanismo molto simile a quello di un animale: riempie più che può i suoi tessuti di sostanze nutritive, fino a quando non è sazia. Questo è uno dei motivi per cui già a fine agosto alcune piante (come il ciliegio selvatico o il sorbo) si tingono di rosso; pur potendo godere ancora di belle giornate di sole in cui fare scorta, decidono di chiudere bottega perché già hanno già fatto il pieno. I loro serbatoi, posti sotto la corteccia e nelle radici, sono già pieni e non è necessario accumulare altro, a differenza dell’orso bruno che invece continua a rimpinzarsi fino a data da destinarsi. Non tutte le specie hanno serbatoi di egual misura, motivo per cui non tutte le piante chiudono bottega nello stesso momento. Alcune hanno serbatoi talmente grandi da riuscire “a mangiare” – cioè fare fotosintesi – fino alle prime gelate.

Perché le piante vanno in letargo

Tutti sappiamo che le piante hanno bisogno di acqua per vivere e che, all’interno del tronco, scorre la linfa (composta per la maggior parte da acqua). Potremmo paragonare la linfa al nostro sangue e, pensando a cosa può succedere a noi in condizioni di freddo estremo, possiamo già capire perché anche le piante hanno dovuto trovare una strategia per sopravvivere al freddo. Il motivo principale del loro letargo è la presenza di acqua nei vasi linfatici; per consentire alla pianta di lavorare l’acqua deve essere allo stato liquido, cosa non facile con l’arrivo delle prime gelate. Se il “sangue” di una pianta gela tutto smette di funzionare, proprio come nel corpo umano. E così come per noi la pelle bagnata, al freddo, aumenta le probabilità di congelamento, anche l’albero deve tenere asciutta la propria corteccia, per evitare che l’acqua al suo interno geli e scoppi come un tubo dell’acqua; per questo la maggior parte delle specie inizia a ridurre l’umidità del tronco già da fine luglio.

Perché le foglie cambiano colore

Prima di mettersi in “modalità invernale” le piante hanno ancora un po’ da fare. Non solo devono fare il pieno di energia sfruttando fino all’ultimo le giornate di sole, ma devono anche far tornare le sostanze di riserva al tronco e alle radici, prendendole dalle foglie. Per fare questo il pigmento verde – la clorofilla – viene scomposto, per permettere alla pianta di averlo a disposizione la primavera successiva quando nasceranno le nuove foglie. Togliendo la clorofilla dalle foglie restano solo i colori reali, giallo e marrone. Si può dire che anche la pianta fa una sorta di “cambio armadio”, portando in cantina il costume bagno ormai inutile per poi sfoggiarlo l’anno successivo (e dopo la dieta). I colori tipici del foliage sono anche un chiaro messaggio per gran parte degli abitanti del bosco, ma questa è un’altra storia.

Perché le foglie cadono

La domanda sorge spontanea: ma perché tutta questa fatica ogni anno?

Ci sono piante, come le conifere, che ci dimostrano ampiamente che si può sopravvivere al freddo e al gelo senza perdere nemmeno una foglia. Hanno sviluppato un antigelo all’interno degli aghi, gli aghi si coprono di cera per non disperdere l’acqua, hanno inspessito la loro pelle, infossato gli stomi e tutto questo permette loro di sopravvivere anche a quote elevate, sotto la neve per mesi. Pur essendo in grado di sopravvivere al gelo, hanno però radici che poco si adattano al terreno fradicio dell’inverno, rischiando spesso di essere sradicate dai forti venti. E l’inspessimento del tronco o dei rami non aiuta a fronteggiare vento e neve ghiacciata depositata sui rami (nonostante la struttura a cono).

Il fogliame invece, quello cioè tipico delle latifoglie, è morbido, delicato, sottile e praticamente indifeso. Ma è solo apparenza perché perdere le foglie (quindi non doverle alimentare e proteggere durante tutto l’inverno) gli consente di mantenere un tronco molto più flessibile per resistere alla furia dei venti e un apparato radicale molto più resistente. Il tappeto di foglie che si forma ai loro piedi poi, gli permette di attutire i danni della neve e del gelo producendo anche un sottobosco fertile per l’anno successivo. L’insieme di queste caratteristiche ci dimostra che in inverno, alle latifoglie, non può accadere nulla.

Le latifoglie sono relativamente recenti, comparse sulla Terra solo 100 milioni di anni fa, mentre le conifere esistevano già 170 milioni di anni prima. Questo ci insegna che chiudere le tende da sole in inverno, forti del fatto che le fondamenta terranno in piedi la villetta e veranda, si sta rivelando molto più conveniente dell’antigelo. Ogni inverno superato è la dimostrazione che la caduta delle foglie è un’efficace misura di protezione per tutte quelle specie che vivono in un clima come il nostro, caratterizzato cioè da inverni rigidi ed estate calde.

E poi.. perdere le foglie per le piante è un po’ come per noi “andare in bagno”. Riportando le sostanze nutritive alle radici, nelle foglie restano solo gli scarti e le sostanze superflue – che invece sono molto utili al terreno su cui le foglie cadranno. Quello che a noi sembra un processo passivo, che suscita quasi tristezza, è in realtà un processo attivo e necessario. Una volta trasferito il nutrimento al fusto, la pianta costruisce una vera e propria barriera che recide il collegamento con i rami, motivo per cui è necessario che l’albero non sia ancora in letargo. Fatto ciò l’albero può finalmente “mettersi a dormire” per l’inverno, lasciando ciò che resta delle sue foglie in balia della gravità e del vento.

La Cenerentola delle conifere

Se siete abituati a camminare in montagna vi sarete resi conto che, in tutto quello che ho detto finora, qualcosa non torna. Tra le conifere ce n’è una molto speciale, capace di perdere i suoi aghi dopo essersi vestita d’oro: il larice.

Finora ho “maltrattato” le caratteristiche adattive delle conifere, enfatizzando il fatto che non sempre tenere le foglie in inverno è un’idea geniale, ma il larice ci mostra che tutto è possibile e che la gara evolutiva forse è appena iniziata. Tenere gli aghi da un vero vantaggio solo in primavera, perché possono far ripartire la fotosintesi senza la scocciatura di dover germogliare.

La verità è che tutte le conifere perdono le foglie, anzi gli aghi, ma non li perdono tutti insieme e non necessariamente in autunno. Lasciano cadere quelli danneggiati, quelli più vecchi o inutili. Dopotutto, anche i pini e gli abeti devono andare in bagno! Lo fanno solo con più discrezione e meno fantasia.

L’orologio del foliage

Come per gli animali anche le piante hanno un loro “carattere” e non tutte scelgono di andare in letargo nello stesso momento. Anche l’età conta, a parità di specie i giovani alberi si comportano un po’ come adolescenti ribelli. Ad esempio, l’Ontano si dice che ostenti le proprie ricchezze, perché lascia cadere le sue foglie ancora verdi, come se il domani non fosse un suo problema. Vivono su terreni ricchi e possono concedersi il lusso di non riciclare nemmeno l’azoto. Anche Frassino e Sambuco sono nella categoria degli “spreconi” che lasciano cadere le proprie foglie ancora verdi. Quindi non aspettatevi regali autunnali (al massimo un po’ di sciroppo), se volete fotografare il foliage non contate su di loro.

Solo gli esemplari che vivono “al risparmio” vi regaleranno colori sgargianti in autunno. Ad esempio, la Quercia è una specie così prudente da tenere da parte tutto, lasciando cadere solo foglie marroni. Il Faggio è il più generoso, riesce ad avere contemporaneamente tutti i colori, dal marrone al giallo. Anche Castagno e Acero danno soddisfazione. Ciliegio e sorbo invece (perdono le loro foglie quando sono rosse) prendono tutti in contropiede essendo i primi a virare; già tra fine agosto e inizio settembre sono pronti a tingersi, anche se le foglie le perderanno un po’ più in là. Spiccando nel dorato della prateria e ci ricordano che l’autunno è una scelta consapevole, non una condizione da subire. E poi c’è Cenerentola, il nostro splendido amico Larice: lui è quello che tiene botta fino all’ultimo, perché tanto in lui batte il cuore della conifera, quindi può permettersi di vestirsi d’oro quando tutti gli altri sono già nudi e addormentati.

Fonte: “La vita segreta degli alberi” – Peter Wohlleben 

Autore: Giorgia Ricotti

Foto: © Wild Trek – Avventure in cammino